Webinar… ma cosa vuol dire?

Recentemente sono stato chiamato a parlare in una conferenza online… ehm, no forse era una lezione… ma che dico lezione, era un laboratorio digitale… oppure era semplicemente un webinar. “Ma che vor di'?” E che differenza c’è tra un Webinar, un evento digitale, una webconference?

 

Bè se vi aspettate una risposta non sarò io a darvela, anzi piuttosto sarà più probabile che vi ponga altre domande e dubbi, perché l’unica cosa di cui sono sono certo è che il momento che stiamo vivendo è un momento di passaggio e benché in pochi mesi io stesso abbia superato la regia di 30 eventi digitali, non potrei fare una lezione oggi che sia valida domani. Al massimo potrei proporre di fare un percorso insieme, perché nel bel mezzo di una rivoluzione le regole sono ancora assai confuse e potremmo magari provare a scriverle. Ed è per questo che mi piacerebbe avere anche qualche vostro pensiero a riguardo.

Per prima cosa guardiamo dall’alto il momento storico che stiamo vivendo.

Esattamente un anno fa imparavamo il significato della parola “Lockdown” trovandoci così alle porte di un evento non solo sorprendente e inatteso ma addirittura epocale. Ci siamo trovati tutti a rifondare la nostra vita, il lavoro, il tempo libero, basandoci su nuovi schemi, nuovi orari, nuovi strumenti, nuove regole, nuovi modi di relazionarci, non facili da accettare soprattutto per l’impossibilità a vedersi e a vivere in gruppo.

Ci auguriamo tutti di tornare presto ad una dimensione di normalità che permetta di incontrarci come facevamo prima, ma ormai è certo che in alcuni ambiti, sopratutto professionale, difficilmente si tornerà indietro.

Questo non sarà necessariamente un male, ed anzi come dice Papa Francesco: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”.

Di crisi, o di momenti di semplice disorientamento, l’umanità ne ha passate tante. A volte per eventi naturali. Troppo spesso per ragioni belliche. A volte anche a causa di nuove scoperte nel campo delle tecniche, delle tecnologie, delle scienze che mettevano in crisi il pensiero filosofico, ma anche secolari sistemi di lavoro.

Pensate a che tipo di cambiamento e disorientamento avvenne con l’invenzione della stampa con caratteri mobili. Diffusione della cultura, ma anche fine di un sistema che vedeva il monachesimo al suo centro.

Pensiamo alla prospettiva che dal rinascimento ha cambiato non solo la pittura ma i punti di vista e il modo di vedere le cose, e poco dopo gli strumenti ottici che hanno permesso di scrutare il cielo spostando la centralità dell’universo al di fuori della terra con non poche conseguenza in termini filosofici.

Per non parlare della fotografia, forse la più grande rivoluzione simile a quella che stiamo vivendo oggi, che ha disorientato per primi gli artisti, che si sono subito messi in ricerca di nuove forme di linguaggio di rappresentazione per superare sia le tradizione pittorica, ma anche la stessa fotografia. 

Ma c’era molto di più dietro questa invenzione: la possibilità di riprodurre un quadro superando la sua unicità, ci ha posto di fronte ad un nuovo modo di vedere e pensare le cose. Il quadro nato per essere visto nella realtà, nel suo habitat, parete di una chiesa o museo, inizia a viaggiare per entrare entra nelle nostre case, divenendo altro. “La riproduzione ha moltiplicato i possibili significati, ma ha distrutto l’unico originale significato” diceva John Berger nel 1972 nel primo episodio della trasmissione di Ways of Seeing della BBC.

Faccio questi esempi perché il tema del digitale delle modifiche ai nostri comportamenti, ai nostri pensieri, non sono una novità.

L’occhio dell’uomo non è più al centro del mondo visibile da un pezzo. Gli occhi addosso degli spettatori che danno energia ad un attore di teatro, sono tutti dentro una cinepresa da quando esiste il cinema. Si chiamano sempre Attori sia che facciano Teatro o Cinema. Si chiamano sempre registi, sceneggiatori… ma sono mestieri che usano linguaggi diversi.

Ogni trasformazione, ogni crisi, ogni disorientamento, trova risposta nella nascita di nuovi linguaggi, con proprie regole, proprie grammatiche.

Oggi scrivo di webinar, di digitale, una trasformazione che non nasce con il Covid, ma ha radici profonde, sicuramente nella guerra fredda e nelle ricerche per le conquiste spaziali. Molti di noi hanno vissuto il periodo della nascita dei primi Personal Computer e con essi tutta una serie di gesti quotidiani che nel corso degli ultimi 40 anni hanno cambiato in maniera incredibile le nostre abitudini, i nostri linguaggi e le nostre emozioni.

Dicevamo della fotografia. I più grandicelli ricorderanno le difficoltà della tecnica analogica, ma anche le emozioni nel portare a sviluppare un rullino. L’attesa, la gioia o la delusione dei risultati ottenuti. Quante ore ho passato in camera oscura, al buio respirando il profumo dell’acido acetico del fissaggio. Oggi tutto questo è compresso nella sequenzialità di centinaia di scatti tenuti o cestinati in diretta mentre scatti.

Oppure, sempre i più grandicelli, ricorderanno l’attesa per l’uscita nel nuovo disco del complesso preferito (io amavo Emerson Lake & Palmer, i Genesi, gli Yes…) le ore passate nei negozi di dischi alla ricerca di qualcosa di eccezionale, la lettura delle copertine, la contemplazione del vinile e l’ascolto a volte saltellante o pieno di scricchiolii.

Tutto cancellato in un attimo da un oggetto grande quanto un pacchetto di sigarette, che di li a poco diventò telefono… e non solo.

Insomma, da un pezzo siamo nel bel mezzo di una tempesta di cambiamenti, che il coronavirus non ha fatto altro che accelerare e accentuare. Vi immaginate il coronavirus fosse accaduto vent’anni fa? O forse anche dieci? Pensate che il cosiddetto smart working sarebbe stato possibile come lo riusciamo a concepire oggi? (Domanda retorica). 

La pandemia ci ha trovato pronti (o quasi) dal punto di vista tecnologico. 

Ma dal punto di vista delle tecniche e dei linguaggi sicuramente molto meno. Per questo all’inizio di questo articolo dicevo che le domande non hanno ancora risposte, e secondo me anche l’unica certezza per molti, che gli eventi digitali sono noiosi e non permettono la concentrazione è da sfatare.

Forse dimentichiamo quanta distrazione c’era (e ancora ci sarà) negli eventi tradizionali. Avete in mente quanta gente è attenta sul proprio smartphone a guardare altro? Non è una questione di digitale o presenza fisica, ma di contenuti e forma.

“Content is the king” diceva Bill Gates nel 1996, ma attenzione perché come diceva Andersen nella famosa favola, il re va vestito.

Ecco, nei prossimi giorni scriveremo di Tecniche, di Tecnologie e di Linguaggi.

Rimaniamo in contatto per fare questo pezzo di strada insieme.

Showreel “un anno di eventi digitali”.

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