Ep.4 – Comunicare
La comunicazione è una caratteristica peculiare dell’essere umano: potremmo scrivere libri su libri toccando temi filosofici, psicologici, sociologici e religiosi scomodando persino la Santissima Trinità.
La Grafica commedia – Episodio 4
Negli ultimi anni la comunicazione è un argomento che mi ha affascinato moltissimo perché studiandola è possibile capire meglio anche la storia, soprattutto quella del secolo scorso, essendo la comunicazione diventata a tutti gli effetti una forma di potere, trasversale al potere politico e al potere economico. Un potere diluito, per citare il titolo di un libro, forte nei regimi totalitari, come anche nelle moderne democrazie dove il risultato delle elezioni è determinato da un ristretto numero di persone indecise, che possono oscillare da una parte all’altra il giorno prima del voto.
Ma ancor di più sono interessato ad approfondire questi temi perché, partendo dalla consapevolezza che “è impossibile non comunicare”, si riesce a conoscere meglio la propria identità e qualche volta anche a risolvere alcuni conflitti con sé stessi e gli altri. Se non mi fossi impegnato con mia moglie a migliorare la comunicazione, sono sicuro che la nostra relazione sarebbe stata molto più difficile e mi chiedo come avremmo potuto superare i momenti più faticosi della vita senza aver cercato di mettere in pratica l’elemento base di una buona comunicazione: l’ascolto.
Se mi lascio andare sul tema dell’ascolto potrei scrivere due capitoli interi, di come questa virtù esercitata male crei grovigli e tanto malessere.
Un detto irlandese dice che abbiamo una bocca e due orecchie, perché dovremmo ascoltare il doppio di quanto parliamo, mentre Goethe affermava che se parlare è un bisogno, ascoltare è un talento.
Un conto è sentire, un conto è ascoltare. Per sentire basta l’orecchio per l’ascolto è necessaria una testa disposta a cambiare. Questo vale per qualsiasi forma di comunicazione, anche quella visiva. Gli occhi non bastano per guardare.
Ascoltare, guardare… d’accordo. Ma cosa?
Su questo, Michele Provinciali è stato per molti grafici il miglior maestro, perché il suo insegnare era rivolto alla riattivazione di tutti i sensi, non solo la vista e l’udito. Ricordo una lezione in cui chiese a tutti di urlare forte, procurando una paura bestiale nei bidelli che entrarono di soprassalto nell’aula temendo che fosse accaduto qualcosa di grave. Oppure un’altra volta ci invitò a salire tutti sui banchi per avere una visione diversa, un po’ come nel film L’attimo fuggente, ma noi lo abbiamo fatto nel 1983. Michele invitava sempre gli studenti a leggere molta letteratura, poesia, e avrebbe eliminato dalla biblioteca dell’ISIA le riviste di grafica che definiva riviste porno-grafiche, forse perché inducono nella tentazione di un più o meno inconscio plagio.
La maestria più vera di Michele era la lettura profonda della realtà, l’ascolto delle cose, degli oggetti che ci circondano; perfino quelli più banali riacquistavano diritto di ascolto. Un vero maestro che riusciva ad entrare in relazione con un contenitore di plastica raccolto in spiaggia, facendolo diventare opera d’arte parlante. Un comportamento poetico, ma con alto valore etico, oggi diremo ecologico, ma io penso anche spirituale. Mi viene in mente il salmo “la pietra scarta dai costruttori è divenuta testata d’angolo”.
È chiaro che le riviste di grafica le guardavamo eccome, e credo che non sia del tutto sbagliato essere informati per non cadere in un atteggiamento snob, e pensare di essere gli unici ad essere bravi.
Fin qui ho parlato di un ascolto poetico, creativo.
Esiste poi anche un ascolto più tecnico comunque importante per un grafico. È quello che va fatto nei confronti del target, i destinatari della comunicazione. Non di rado capita che noi grafici nel nostro delirio di onniscienza, nell’ordine ascoltiamo: noi stessi; i colleghi simpatici che parlano bene del nostro lavoro (magari su una rivista); i clienti che pagano bene; e quasi mai i destinatari.
Invece un grafico bravo che vuole operare per una comunicazione efficace deve essere consapevole della differenza che c’è tra “comunicare” e “informare”. Informare significa dare una notizia, un segnale, un segno. Comunicare significa dare una informazione, inviare un messaggio per generare in una qualche maniera una ricevuta di ritorno (feedback), che può essere data in diverse forme: attraverso una risposta esplicita, o da un comportamento che potrà essere analizzato, interpretato e valutato.
Questa è una ragione fondamentale per cui è importante saper esercitare una buona capacità di lettura e di ascolto.
Contenuto e forma
Liquidare l’argomento in poche battute mi sembra quasi blasfemo. Ma un accenno per un giovane studente credo sia doveroso, se non altro perché è l’essenza del nostro mestiere: dare forma a contenuti.
Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto (cosa si dice) e di relazione (come si dice). Il secondo classifica il primo: la scelta di un carattere dà senso alle lettere di un logotipo, di una rivista, di un libro; l’intonazione della voce, diventa più importante di ciò che si dice, trasformando le stesse parole in comando, in elogio, in complimento o in offesa. Una frase letta da un attore di teatro, da un comico, da un politico assume un valore diverso. Il significato di “quanto sei carina!” non è determinato dalle parole, ma esclusivamente dall’intonazione della voce. Tutto questo per dire che se, da un lato è giusto pensare che il contenuto è fondamentale, è la sostanza delle cose, non si può sottovalutare la forma perché in gran parte dei casi è la forma a determinare il significato e il valore del contenuto.
Ecco la ragione per cui è giusto affermare che fare buona grafica non significa semplicemente fare della cosmetica, ma piuttosto dare forma a idee per aiutarle ad essere espresse e comprese.
È la forma che rende un contenuto: riconoscibile cioè sufficientemente distinto; adeguato ovvero comprensibile al pubblico; coerente rispetto ai contenuti della comunicazione; uniforme nelle sue applicazioni e nel tempo.
Sulla comunicazione non mi spingo oltre, perché ho sì un po’ di esperienza e di passione, ma le conoscenze che ritengo di avere sono simili a quelle di un vecchio Bignami e percepisco forte il rischio di banalizzare concetti importanti che renderebbero un discorso su McLuhan simile a quello fatto al bar sulla miglior formazione della nazionale.
Prima di passare ad argomenti più tecnici, vorrei concludere questo capitolo proponendovi una domanda non di poco conto, che se vogliamo, possiamo considerare una questione etica del lavoro del grafico. Si tratta di una questione che nei primi anni di lavoro ha trovato motivo di confronto anche con mio padre, quando desiderava capire meglio che lavoro facessi. La domanda è questa: un grafico può lavorare per chiunque? Ci sono motivi, oltre alla disponibilità di tempo o di denaro, per i quali un grafico possa dire ad un possibile committente: questo lavoro non posso farlo? La risposta che io do è: “giusta la seconda!” Ci sono valori, concezioni, pensieri etici e politici che non possono essere svenduti per trenta denari. Mio padre, barista, mi diceva: io sono di sinistra, ma il caffè lo servo anche ad uno di destra. Ci mancherebbe che non fosse così, sarebbe razzismo. Ma quando in ballo ci sono le idee, il lavoro del grafico diventa quello di prestare la propria testa perché queste diventino visibili, di fornire gambe perché queste camminino lontano e per me sarebbe estremamente difficile fare questo. Non solo difficile, ma anche ingiusto. Non nego il dialogo fra pensieri diversi, chi mi conosce sa quanto questo mi affascini, e quante volte ho avuto la fortuna di cambiare idea, a volte un po’ radicale, a volte un po’ papalino. Ma essere un distributore di visioni grafiche valide per chiunque a me non piace.
Sono scelte che ogni tanto mi son trovato a dover affrontare. Non troppo spesso, per fortuna, anche se l’inganno sottile e l’autogiustificazione sono sempre in agguato, ma grazie al cielo io e Franz su questo ci siamo sempre aiutati e abbiamo trovato la massima sintonia.
E questo vale più dell’aumentare il fatturato.