Ep.7 – Roba dura

Addentriamoci come nel meraviglioso film “Viaggio allucinante”  di Richard Fleischer, per capire meglio cosa c’è dentro un computer.

La Grafica commedia – Episodio 7

Scritto nel 2013

Avendo questo libro una finalità didattica, dedicherò un po’ di spazio per spiegare in maniera semplice cosa significano alcuni termini, spesso proposti anche all’acquisto di un computer, ma senza che l’acquirente abbia effettiva consapevolezza di cosa viene suggerito dal venditore. Lo farò con qualche esempio forse non proprio ortodosso, come quando insegnavo e cercavo di aiutare quei poveri studenti che si erano iscritti all’ISIA pensando che avrebbero usato solo pennelli e matite (quindici anni fa ancora capitava). In base al vostro grado di conoscenza vedete voi se saltare o meno questa parte. Oppure leggetela se vi incuriosiscono le storielle che andavo a raccontare a quei ragazzi che a fatica sopportavano una materia fatta anche di numeri e oggetti molto piccoli ma ben saldati fra loro, e che formano una specie di scatola magica.

Quando ero piccolo nei film di fantascienza si parlava di “cervello elettronico”. I francesi preferiscono chiamarlo “elaboratore”, molti lo chiamano più semplicemente PC (personal computer), per indicare un calcolatore di grande potenza, ma comunque personale in contrapposizione alle grandi centrali di calcolo. Il personal computer ha la sua prima grande diffusione di massa alla fine degli anni Settanta con i Commodore, ma le sue radici affondano a ben vent’anni prima grazie agli studi fatti, pensate un po’, in Italia dalla Olivetti. Questo mi provoca una buona dose di rabbia, perché ti fa capire come la capacità industriale dei successori di Adriano Olivetti abbia vanificato un patrimonio tecnico e culturale enorme, abbia buttato all’aria la genialità di un uomo, la cui visione industriale e sociale non credo abbia avuto uguali neppure nella Silicon Valley.

Il termine PC nel mondo Apple è caduto in disuso da quando nel 1984 Steve Jobs ha presentato il Macintosh, il primo computer relativamente potente dall’approccio amichevole dotato di interfaccia grafica e mouse. Da allora un computer Apple viene semplicemente chiamato Mac, identificando nel termine PC tutto il resto e quindi soprattutto il mondo Windows. Andate a vedere le meravigliose pubblicità di qualche anno fa “I am a Mac, I am a PC” e ve ne farete una idea divertente. 

Comunque lo chiamiate ogni computer ha delle parti comuni: cerchiamo brevemente di elencare e capire a cosa servono. 

Innanzitutto il microprocessore, il centro del cervello elettronico, che permette di elaborare le informazioni, trasformare i dati che vengono inseriti, calcolare complesse operazioni (perché alla base di tutto ci sono sempre dei numeri, anzi solo due numeri 0 e 1). La velocità di calcolo e l’architettura di un processore sono il primo elemento per determinare la velocità di un computer; dopo scopriremo altri fattori importanti. La velocità di calcolo espressa con una unità di misura in hz /Mhz/Ghz è importantissima, ma non esclusiva. Cerco di spiegarmi con un esempio: avere un’auto con un motore che può raggiungere i 1000 km orari è pressoché inutile se non hai il resto della vettura che lo sostiene o se non ci sono strade che permettono di superare i 100 km/h. Così è per un microprocessore, il cui disegno strutturale diventa altrettanto importante. Anni fa la gara fra Mac e PC basava molto la sfida su questi argomenti. RISC contro CISC. IBM-Motorola-Apple contro Intel, con gli innovativi PowerPC che avevano prestazioni superiori a parità di velocità semplicemente perché sceglievano la strada più breve. Anche in questo, Apple ha giocato molto a livello pubblicitario, rappresentando e ridicolizzando Intel con tecnici che si ustionavano nel maneggiare i propri microprocessori.

Poi le lotte titaniche tra i giganti dei componenti Hardware della Silicon Valley ha modificato queste sfide. Oggi anche i Mac utilizzano microprocessori Intel che differenziano le proprie prestazioni per velocità di calcolo e struttura basata su più nuclei di processore montati nella stessa CPU (dualcore, quadcore), un po’ come succede con un motore che ha più turbine.

Memoria

Tutto ciò che viene elaborato dal microprocessore non avrebbe alcuna utilità, sarebbero solo dati numerici, impulsi elettronici senza vita, se non avessero un luogo dove poter esprimersi ed esistere. Questo luogo viene chiamata memoria. Fondamentalmente ne esistono di due tipi: una operativa, utile esclusivamente a lavorare, quasi fosse un contenitore dove caricare tutte le informazioni che saranno elaborate dal microprocessore; un’altra per creare un archivio dei dati elaborati e far sì che questi dati perdurino nel tempo anche quando il computer viene spento. La prima memoria viene chiamata RAM (Random Access Memory), la seconda è quella che quando compriamo un computer viene identificata con il disco rigido (hard disk), anche se i sistemi di archiviazione sono delle più svariate tipologie, compresi i CD, DVD, e nastri magnetici simili a quelli per registrare musica. Proprio dalla musica potremmo prendere per analogia una spiegazione che ci aiuta, se non proprio a capire, ad intuire. Il microprocessore potrebbe essere lo strumento musicale che suona, la RAM è il luogo dove viene suonato il concerto, la registrazione è la memoria del concerto conservata nel tempo. Oppure, scusate ma trovare analogie è per me un divertimento, le lame di un frullatore sono il microprocessore, il contenitore è la RAM, il frigorifero il luogo dove viene conservato il frappé. Convincente? Mah, forse però qualcosa si intuisce.

Quindi ricapitolando, molto grossolanamente abbiamo detto che le prestazioni del computer sono determinate prima di tutto dal microprocessore e dalla memoria, che distinguiamo in operativa e in quella utile all’archiviazione. Sto esponendo le cose in maniera molto approssimativa sperando che gli esperti non rabbrividiscano difronte a certe semplificazioni. Qualcuno potrebbe obiettare che la memoria che ho definito di archiviazione sia in realtà anch’essa operativa perché i programmi la usano non solo come “album dei ricordi”, ma per scrivere e leggere continuamente dati utili a fare il nostro lavoro. Questo è vero, sopratutto per la elaborazione di immagini di grande formato ad alta risoluzione o di video in piena definizione: la RAM non sarebbe sufficiente e quindi viene presa in prestito parte della memoria del disco rigido per svolgere la stessa funzione, anche se quest’ultima ha una velocità molto inferiore.

Velocità? La memoria ha velocità? Certamente. Anche se la principale caratteristica è espressa in termini di quantità, i famosi byte, per determinare la prestazione di un computer sono molto importanti anche i tempi di scrittura e lettura dei dati. Torniamo per un attimo al nostro frullatore. Se per inserire e togliere gli ingredienti posso farlo solo attraverso un piccolo foro i tempi di lavorazione del mio impasto saranno certamente superiori rispetto ad un apparecchio con una grande apertura. Così i tempi di lettura/scrittura di un disco rigido sono importantissimi a determinare la velocità di un computer perché l’elaborazione dei dati avviene sì tramite il microprocessore, e attraverso la RAM, ma la letture e la registrazione su disco è un processo continuo e perciò avere dischi molto veloci nel trasferire i dati è importantissimo soprattutto quando il nostro lavoro consiste, l’ho già detto, ma parlando di grafica è bene ripeterlo, nel trattare documenti di grandi dimensioni come foto ad altissima risoluzione, e soprattutto nel montaggio di video in piena definizione. 

I fattori che determinano questa velocità di trasferimento sono diversi. Senza entrare nello specifico ne cito due fondamentali, lasciando ad altre fonti la possibilità di soddisfare la vostra curiosità:
– la velocità dell’interfaccia di collegamento.
– la velocità di rotazione del disco espressa in numero di giri al minuto (4.200, 5.400, 7.200, 10.000 e 15.000 giri al minuto).

Personalmente non ho mai avuto la possibilità di utilizzare dischi di velocità superiore a 7.200 giri, ed anche per ragioni fisiche immagino che si sia raggiunto un limite difficile da superare.
Per questo motivo, da pochi anni, possiamo apprezzare enormi vantaggi attraverso l’utilizzo di una nuova tipologia di memoria chiamata SSD (solid-state drive), definita impropriamente “dischi allo stato solido” perché di circolare come un disco non hanno proprio nulla, se non il fatto che vanno a sostituire i dischi tradizionali sopra descritti. Questa memoria è l’evoluzione delle ben note e diffuse Flash memory che da diversi anni sostituiscono i rullini nelle nostre macchine fotografiche. Non essendo vincolate dalla rotazione di un disco le SSD raggiungono velocità superiori oltre 50 volte rispetto ad un normale disco rigido e per questo concordo con chi ritiene che si tratta di una delle novità più interessanti in campo informatico degli ultimi anni.

Soddisfiamo ora la curiosità di chi vuol sapere con quale computer lavoro, quali caratteristiche ha, magari confrontandolo con il mio primo Mac per capire il salto enorme fatto.
Il mio MacBook acquistato alla fine del 2011 ha un microprocessore Intel Core i7 con velocità di calcolo di 2,5 GHz, 16 GByte di Memoria RAM e un archivio interno composto da due dischi: un HDD da 750 GByte e un SSD da 256 GByte che ho aggiunto io al posto del masterizzatore DVD. In questo secondo disco ho installato il sistema operativo e tutti i programmi che ora si avviano realmente in un solo secondo: fantastico!

Il mio primo Macintosh II, acquistato nel 1988 e che conservo come il primo cent di Paperon de’ Paperoni, ha un microprocessore Motorola 68020 con velocità di calcolo di 16 Mhz, 2 MB di RAM, e un disco rigido da 40 MB.
Per valutare in maniera grossolana questi parametri basta ricorrere alle banali equivalenze studiate alle scuole elementari. 1 Hz significa una oscillazione (un calcolo) al secondo, quindi 1 kHz = 1000 oscillazioni, 1 MHz = 1 milione, 1 Ghz = 1 miliardo, 1 Thz = 1000 miliardi.

Discorso simile, ma con qualche complicazione per via del calcolo binario sul byte  che è l’unità di misura della memoria, dove 1kB non equivale a 1000 ma a 1024 perché 1kB = 210 , 1MB = 220 , 1GB = 230 , 1TB = 240.
Aiuto! Qualcuno si sta perdendo? 

Tranquilli non voglio fare un libro di matematica, ma solo dare qualche elemento per capire cosa abbiamo fra le mani. Spesso oggi per semplificare le cose si misura la capacità di un iPod, di un iPhone come di qualsiasi disco, in quantità di canzoni, di foto, o di video. Ma ci vuole poco a capire che sono numeri indicativi che dicono quasi nulla perché tutto poi dipenderà dalla qualità, dalla durata di una canzone, dalla dimensione e dalla definizione di una foto e di un video.

Fino a qui ho descritto il computer nel cuore, nelle parti essenziali del motore. Ma gli appassionati di auto sanno che una vettura la si apprezza anche per tanti altri elementi, sia tecnici che di design che ne determinano qualità e prezzo.

Senza ruote un’auto fa poca strada, anzi non ne fa proprio. Un computer senza scheda video sarebbe la stessa cosa. Gli appassionati di formula uno sanno quanta importanza abbiano le gomme, mentre chi la formula uno la pratica come video gioco sa che ciò che conta è avere una buona scheda video per apprezzare al meglio le immagini 3D. Anche qui si tratta di numeri, la capacità di rendere i colori, con quale fedeltà e velocità. La fedeltà è più legata alla qualità del monitor, ma senza addentrarci ulteriormente in tutte le caratteristiche e tutti i componenti di un computer, capite che nel suo complesso gli elementi da valutare sono tanti.

A differenza di chi usa PC, dove le combinazioni di assemblaggio sono infinite, l’utente Mac ha meno problemi perché un Mac è solo Apple, non esistono compatibili costruiti da altri, né tantomeno la possibilità di mettere insieme i pezzi da soli: quindi le scelte sono relativamente contenute in un ristretto numero di possibilità, ma quasi sempre al top dell’innovazione e della qualità. Si pensi ai nuovi portatili con schermo Retina ad altissima definizione che, come sempre nelle nuove uscite Apple, hanno forse l’apparente difetto di essere troppo avanti. L’uscita del primo iMac colorato nel 1997 sbalordì per prestazioni e design, ma scandalizzò molti per l’assenza del floppy-disk. Oggi la tendenza di Apple è quella di ritenere la connessione a qualsiasi rete gestibile senza l’ausilio di cavi passando il più possibile per il WiFi; una scelta che a qualcuno provoca perplessità e insicurezza.

Dato che abbiamo iniziato questo discorso continuiamo ad esaminare il mio MacBook, quali sono i suoi ingressi e a cosa servono. Le porte più comuni presenti in qualsiasi computer sono le USB (Universal Serial Bus). Questa tecnologia nata nel 1996 serve a collegare mouse, tastiere, dischi esterni, scanner, pennette di memoria, iPhone, iPad e tanto altro. Il mio portatile gestisce la seconda generazione, le cosiddette USB 2 che si differenzia dalla prima per le prestazioni di velocità di 480 Mbit/s (60 MByte/s). Dal 2007 siamo alla versione 3 che ha prestazioni di velocità che raggiungono addirittura i 4800 Mbit/s, ma solo recentemente hanno trovato spazio nei prodotti Apple, montate sia nei nuovi MacBook Air che nei nuovi MacBook Pro Retina. Per Apple in questi anni il cavallo di battaglia è stata la porta Firewire, presente anche nel mio portatile con velocità 800 Mbit/s, ma in evidente dismissione come testimonia l’assenza nei portatili di ultima generazione. 

Il nuovo fiore all’occhiello di Apple è la tecnologia studiata insieme ad Intel denominata Thunderbolt attraverso la quale si collegano monitor esterni, video, rete, dischi, tutto ad una velocità di 10 Gbit/s bidirezionali e quindi in teoria ogni connettore è in grado di ricevere e trasmettere 20 Gbit/s, ma con la potenzialità di essere sviluppato per poter essere espanso fino a 100 Gbit/s.

Un computer ha anche altri fori e periferiche (prese per microfono, cuffia, altoparlanti, DVD/CD, tastiera, mouse e trackpad) tutte importantissime ma che sono evidentemente fin troppo note, meglio passare subito ad un nuovo capitolo su ciò che è immateriale: il software.

 

Testo tratto dal libro:
La grafica commedia – di Walter Valter Toni – Fara Editore – 2013. pagg. 64-73

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